Premio Viticoltrice dell’anno 2021: Antonella Lombardo
Data
- Ottobre 6, 2020
Ex avvocato, Antonella Lombardo ha cominciato a fare vino una volta tornata in Calabria. E con la tenacia ha continuato a costruire il suo progetto nonostante le difficoltà del Covid; per noi è la viticoltrice dell’anno nella nuova guida vini 2021.
L’interesse per il mondo del vino per Antonella Lombardo è nato quando ancora faceva l’avvocato a Milano; risale a quel periodo infatti la sua frequentazione ai vari livelli di un corso per sommelier. Sempre con un approccio edonistico ha iniziato ad appassionarsi alla materia, cominciando nel tempo libero ad andare in giro per l’Italia e non solo, a visitare le cantine e i terroir dei vini che più le piacevano. A primo impatto Antonella può sembrare molto diretta e istintiva – e parlando ci confessa che in azienda viene affettuosamente definita una “furia” – probabilmente perché non ama delegare e quando prende una decisione vuol portarla sino in fondo, ma in verità è una donna molto riservata e timida che ama pianificare per bene tutti gli aspetti legati al suo nuovo lavoro di vignaiola a tempo pieno. Basti pensare che sino a qualche mese fa non aveva mai aperto nessun profilo su nessun social. “In verità ero restia anche ad aprire i profili aziendali, non ho mai amato mettermi in mostra” confessa mentre sta facendo una follatura “ma la mia è un’azienda giovanissima che ha bisogno di farsi conoscere così ho ceduto, in quest’ottica oltre a riempirmi di gioia, anche i Tre Bicchieri del Gambero Rosso hanno molto contribuito a farci apprezzare al di fuori dalla Calabria”.
La storia
Messa da parte definitivamente la toga e indossati gli stivali, Antonella si affida a due agronomi, Stefano Dini e Dario Ceccatelli, con il loro aiuto seleziona tra quelli in vendita, dei vigneti a Bianco, paese dalla tradizione enologica millenaria, e li compra. Dopo i vigneti è la volta dell’enologo, tra i nomi che gli si prospettavano viene fuori Emiliano Falsini, così si ricorda che in una delle cantine dove era stata in visita ne aveva sentito parlare come di un tecnico molto rispettoso del connubio tra terroir e varietà autoctone. Comincia a fare ricerche su internet e scopre che l’enologo toscano lavora molto col nerello mascalese, il vitigno a bacca rossa ancor oggi molto diffuso nel reggino. Quindi organizza una degustazione alla cieca di nerello mascalese di varie aziende tra cui quelle di Falsini, è il risultato di questi assaggi a convincerla che è lui il consulente che fa per lei e per i vini che ha in testa di produrre.
La cantina e il Covid
Manca solo la cantina, altro investimento troppo importante per sbagliare. Quando finalmente è pronta e si può cominciare a fare sul serio ecco che arriva il Covid a mettersi di mezzo, non proprio il massimo per un’azienda appena nata con la sua prima annata da commercializzare ancora tutta in casa, e il lavoro in vigna da portare avanti. Per fortuna Antonella non è persona da farsi prendere dal panico, durante il lockdown è lei in prima persona a lavorare sia in vigna che in cantina, a fare legature, potature, travasi e tutto quanto c’era da fare. Da qualche mese Antonella ha acquisito diritti di impianto per altri due ettari che verranno impiantati in collina, nel comune di Caraffa del Bianco, dove c’erano i vigneti del nonno. Anche questa è stata una scelta meditata, i terreni a Bianco sono in zona pianeggiante e molto argillosi, quelli di Caraffa invece sono più alti e su suoli molto differenti.
Tanti progetti e tanta voglia di mettersi in gioco quindi per questa produttrice che ha dimostrato si di avere tanta passione ma anche competenza ed idee chiare che poi è il motivo di questo premio come Viticoltrice dell’anno nella guida Vini d’Italia 2021.
A un certo punto della tua vita sei tornata in Calabria, e hai cominciato a fare vino, consapevole che questo avrebbe completamente cambiato la tua vita, perché?
Perché fare vino? Perché da grande avevo già fatto l’avvocato, tornando in Calabria volevo organizzare in maniera diversa la mia vita e cosa potevo fare altro se non vino? C’altronde sono nata in un paese che si chiama Caraffa del Bianco. La tua storia con il vino nasce da una tradizione familiare? Mio nonno, come tutti in paese, faceva vino… invece adesso gran parte dei vigneti e dei palmenti sono stati abbandonati, tornando a casa ho deciso di investire sulla storia e la tradizione della mia terra. Hai scelto terreni, agronomi, enologo, poi è stato il momento di metter su la cantina… Quando ho deciso di mettere su la mia cantina ho fatto tesoro delle lunghe discussioni fatte con quelli che ancora oggi non oso chiamare colleghi produttori. Quali erano le esigenze primarie? Guardando dall’esterno chi fa vino, siamo portati a percepire più la passione e il romanticismo che quello che veramente c’è dietro, ma per fare bene il vino da soli non bastano. Va benissimo coltivare le uve biologicamente e non usare prodotti chimici in cantina, noi lo facciamo per scelta e non per moda; ma oltre all’etica ambientale, lavorare tanto ed essere preparati, serve qualcos’altro. Cosa? Serve una adeguata attrezzatura tecnica per lasciare ben poco all’improvvisazione e non sprecare le uve portate sane in cantina dopo un anno di duro lavoro. Il Covid è arrivato quando ancora avevi la tua prima annata da commercializzare e il lavoro in vigna da portare avanti. Come te la sei cavata? Durante il lockdown sono stata io, in prima persona, a lavorare sia in vigna che in cantina, a fare legature, potature, travasi e tutto quanto c’era da fare. Per fortuna sin dal primo giorno sono sempre andata in vigna con i miei operai, ho imparato sul campo e ne sono orgogliosa per questo il lockdown non mi ha trovata completamente impreparata. Complicato? Certo è stata dura, non si trovava neanche mano d’opera, ma alla fine è andato tutto per il meglio. Quando avevo qualche dubbio, lo risolvevo con l’aiuto di una videochiamata all’agronomo o all’enologo, mettendo su con loro una sorta di tutorial in diretta. Da qualche mese hai acquisito diritti di impianto per altri due ettari in collina, nel comune di Caraffa del Bianco, più alti e molto differenti da quelli a Bianco. Come mai? Ho deciso di impiantare sui terreni in collina della mia famiglia non per ragioni economiche ne sentimentali, anche se certo mi fa piacere tornare alle mie origini, ma guardando con i miei tecnici ai progetti futuri, come il recupero del mantonico e la produzione di un metodo classico. Per entrambi la scelta più adeguata erano dei vigneti in collina, con più scheletro e una diversa escursione termica, così da avere uve con più acidità che in pianura. Quindi in progetto c’è un vino spumante? Sì, e oltre al metodo classico vorremmo fare due vini da mantonico, un passito e un secco macerato. Pronta anche la prossima etichetta sarà un Greco di Bianco un passito che da sempre si produce a Bianco. Quest’anno ti sei aggiudicata un premio speciale come Viticoltrice dell’anno. Che effetto fa? Considero i Tre Bicchieri e questo premio un gran bel punto di partenza per una azienda giovanissima come la mia, grazie infinite a voi del Gambero Rosso per aver creduto e scommesso sul mio progetto. Ancor di più in questo particolare periodo, il riconoscimento ottenuto mi inorgoglisce e mi lusinga ed è da stimolo per continuare a credere che, lavorando con passione ed impegno, anche in contesti più “impegnativi” di tanti altri, i sogni si possono avverare.A cura di Massimo Lanza
Fonte: gamberorosso.it